Sei medico e hai 50 anni? Puoi rifarti una vita e uno stipendio. Da Berlino a Abu Dhabi

Sei medico e hai 50 anni?

Puoi rifarti una vita e uno stipendio. Da Berlino a Abu Dhabi

Giulia Dedionigi

Nella serie Royal Pains, il medico newyorchese Hank Lawson va a lavorare tra i ricchi degli Hamptons.

La vita comincia a 50 anni. Anzi, migliora. L’impulsivo desiderio di fuga dall’Italia, in cerca di condizioni migliori, contagia professionisti in carriera: medici di base, chirurghi e addirittura primari che scappano con mogli e figli al seguito, alla volta di mete esotiche come le Hawaii, oppure verso i tranquilli e solidi paesi nordici – su tutti la Svezia – o ancora in Qatar e negli Emirati Arabi.

Sono cinquantenni pronti a cambiare camice bianco, nonostante un posto fisso e un curriculum di diverse pagine. La “globalizzazione della sanità” apre le porte degli ospedali stranieri ai medici italiani che hanno voglia di cambiare le condizioni di lavoro e di migliorare la propria carriera, offrendo allo stesso tempo opportunità per tutta la famiglia. Quando chiamo Gregorio Maldini, chirurgo di 48 anni, dall’altra parte del telefono sento una voce allegra: «Aloha, con chi parlo?».

Per intervistare il medico che ha eseguito il primo trapianto pediatrico di intestino in Italia, bisogna comporre un numero hawaiano. «Sono di Roma, ma ho lavorato a Bergamo», racconta da Honolulu, «eseguivo cento interventi all’anno, oggi ne posso contare settecento. Qui non esistono liste d’attesa infinite per i pazienti e, a differenza di quello che si dice degli Stati Uniti, si curano gratuitamente anche malati senza assicurazione».
Non sono state solo l’aria pulita, il mare e le temperature calde a convincere Maldini e sua moglie, romagnola doc, a lasciare amici e parenti: oggi il suo stipendio si aggira intorno ai 300mila dollari all’anno, quattro volte il suo compenso italiano. «Il sistema americano è completamente diverso: non c’è una gerarchia da superare per poter condurre determinate ricerche, lavora chi è capace e chi viene giudicato positivamente dai pazienti. Abbiamo un punteggio e degli standard da mantenere: se non li rispettiamo, siamo fuori, licenziati. È proprio la voglia di conservare il posto fisso che blocca il mercato italiano». Non si parla, quindi, solo di cifre allettanti. Ma anche di frustrazioni, di clima poco sereno e sistemi lenti e obsoleti: «In Italia – racconta Giovanni Righetti, presidente dell’ordine dei medici di Latina – mancano gli stimoli. Negli Stati Uniti, dove lavorano ben 5.500 medici italiani, il gruppo più numeroso di stranieri, s’incoraggia l’iniziativa del singolo, lo si protegge di più in termini di necessità e bisogni per la sperimentazione. Se devi eseguire una Tac, non aspetti per giorni prima di avere il macchinario necessario. E poi, chi vuole restare in un paese così travagliato?».

In Gran Bretagna è appena partita una campagna di aggiornamento e rivalutazione dei medici: durerà quattro anni e servirà per testare i professionisti degli ospedali. Una specie di nuova abilitazione: «Essere sempre sottoposti a verifica» spiega Righetti, «può essere stancante, soprattutto per chi ha già alle spalle 20 o più anni d’esperienza. Eppure solo così un sistema può definirsi davvero meritocratico».

Guardando all’Europa, su internet le offerte più cliccate riguardano, oltre al Regno Unito, anche Francia, Belgio e Svezia: «È solo per motivi personali che puoi decidere di tornare. Non ci sono ragioni professionali che ci trattengono in Italia». Valentina Mazza si occupa di ricerca biomedica su malformazioni congenite. È stata per cinque anni a Londra e adesso, rientrata a Milano, sta aspettando l’occasione giusta per emigrare di nuovo: «Quello che mi fa più rabbia è che siamo i più qualificati a livello teorico. Poi, ai chirurghi italiani tocca stare per vent’anni a guardare il medico più anziano in sala operatoria. A quarant’anni i medici sono ancora considerati giovani e fanno da badanti ai primari».

La pensa così anche Stefano Pecora, 55 anni, primario di un laboratorio d’analisi. Ha appena inviato il suo curriculum a un’importante cacciatore di teste che si occupa del settore sanitario: «Sto valutando offerte per Doha e Abu Dhabi, dove ci sono strutture di un certo livello, all’avanguardia con la ricerca scientifica e soprattutto con posizioni aperte per medici italiani. In questi paesi noi siamo davvero ben considerati». Con lui, sono pronti a far le valigie la moglie e due figli, di 10 e 12 anni: «Quando ti assumono», racconta, «oltre a darti uno stipendio tre volte superiore a quello italiano, si occupano anche del vitto e dell’alloggio per te e tutta la famiglia. Ho ancora la presunzione di voler far carriera con le mie sole forze: per crescere non voglio dovermi aggregare a partiti o movimenti. In paesi in pieno sviluppo come questi, poi, ci sono anche più opportunità per i miei figli».
Il periodo d’incubazione del piano di fuga non è brevissimo, proprio perché, a un certa età, è bene riflettere con calma: «Io sono stato in Germania due volte prima di decidermi a trasferirmi a più di dodicimila chilometri da casa», dice Marco Giannecchini, 53 anni, medico toscano trapiantato a Berlino. «Ho lavorato in ospedale, in tirocinio, per due anni e poi ho voluto imparare bene la lingua». Ora è responsabile manageriale dei progetti medico-scientifici dell’azienda farmaceutica Bayer.

Segue queste orme anche Elisabetta Songiu, medico di famiglia di 61 anni, di origine sarda, che da due mesi frequenta un corso d’inglese full time. Sta per partire, con marito e figlio di 21 anni, per la Nuova Zelanda: «Ho mandato una mail» dice, «e, in una settimana, mi sono arrivate quattro proposte di lavoro per aprire uno studio. In Italia la professione è ormai ingestibile, per via dell’eccessiva burocrazia. Le norme cambiano in continuazione, fino a complicarsi a dismisura». All’ordine dei medici di Milano sono tanti i camici bianchi, come Stefano ed Elisabetta, in coda per scappare. Roberto Carlo Rossi, il presidente dell’ordine, ha sulla scrivania un plico altissimo di good standing da firmare: «Si tratta», spiega, «di documenti che attestano l’iscrizione di un medico all’albo e la mancanza di procedimenti disciplinari a suo carico. Sa a cosa servono? A fare domanda per impieghi all’estero». Fino a pochi anni fa era una prassi comune per i neolaureati, ora è cambiata la generazione dei bisturi in fuga: «Quello che mi sorprende di più è che arrivano tantissime offerte di lavoro per primari e medici specializzati. Segno della mobilità del mercato internazionale e segno anche della voglia degli italiani di rimettersi in gioco a qualsiasi età».

http://www.leiweb.it/a/2013/sei-medico-hai-50-anni–401380414339.shtml

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